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Un percorso "guidato" al sito archeologico del Barco Borghese, attualmente chiuso per motivi di sicurezza. Il teso simula quello che è stato fino alla fine del mese di febbraio 2020 il percorso all'interno del sito proposto dagli Amici dei Muei di Monte Porzio Catone ai numerosi visitatori e alle scolaresche.

"Benvenuti al Barco Borghese; è importante innanzitutto capire dove siamo e cosa sia il Barco Borghese; la sua storia fa riferimento a due periodi storici: il primo è quello antico, Romano, in cui tale insediamento si formò; il secondo è quello del tardo Rinascimento, in cui il sito ebbe una seconda vita. Iniziamo da quest’ultimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    Fig. 1 Antico Portale ingresso Barco Borghese      Fig.2 Villa Vecchia in origine Villa Angelina         Fig. 3 Portale ingr. Villa Mondragone

 

(spostandosi al cancello del Barco). Questo è il posto migliore per apprezzare il ruolo che ebbe il Barco all’interno della grandiosa composizione della Villa Borghese, quando, a partire dal 1613, divenne proprietà di questa grande famiglia. Come potete vedere, si tratta di una grande spianata artificiale (poi diremo perché) delimitata da un muro continuo, con un percorso assiale e una fontana al centro, che fungeva da terminale visuale e fisico dell’asse che parte da Villa Mondragone, ed esattamente dal balcone Papale; a quell’epoca era sistemata a pomarium, cioè a frutteto, e si percorreva per arrivare, in fondo a tale percorso, al punto panoramico, ove si apriva la vista su Roma e sulla Campagna Romana. Una composizione architettonica e paesistica grandiosa, certamente degna di un Papa, nonché del suo ideatore, o meglio, dei suoi ideatori. Ma chi erano costoro? Per capirlo, bisogna fare un passo indietro, e precisamente al 1567.

 (si torna indietro all’ingresso) Si parla del primo proprietario, e fondatore, di questo complesso monumentale, il cardinale Marco Sittico Altemps. Questi era un esponente di una nobile famiglia austriaca, originaria del Vorarlberg; già condottiero in varie guerre nell’esercito Imperiale di Carlo V, grazie alla sua parentela con la famiglia Medici (era nipote di Papa Pio IV), si trasferì a Roma, ove intraprese la carriera ecclesiastica e divenne ben presto Cardinale ed ebbe modo, fra l’altro, di promuovere, nel 1572, l’elezione a Papa di Ugo Boncompagni, che assunse il nome di Gregorio XIII.  Come ogni buon esponente delle famiglie aristocratiche che ruotavano intorno alla corte Papale, il Cardinale Altemps dovette provvedere a dotarsi di una villa suburbana per la villeggiatura, aderendo a una moda e, si potrebbe dire, ad un obbligo sociale, che, sul finire del Cinquecento, aveva visto l’edificazione delle grandiose Ville Tuscolane intorno alla città di Frascati, servendosi dell’opera dei migliori architetti dell’epoca. Per prima cosa, egli acquistò un piccolo Casino, già edificato dai Farnese, e lo ampliò, su progetto del Vignola, rinominandolo Villa Angelina (dalla parrocchia di sant’Angelo in Pescheria, di cui il Cardinale Ranuccio Farnese aveva il Titolo); ed è l’edificio che si vede oltre la strada, ora trasformato in Hotel. Per la verità, non è proprio lo stesso, perché durante l’ultima guerra è stato bombardato e poi in gran parte ricostruito “in stile”.  Di fronte, si trovava un grande spiazzo incolto, ampio ben 4 ettari, che il Cardinal volle regolarizzare, cingendolo di un muro continuo (a. 1575) e dotandolo di un portale, trasformandolo così in un frutteto, in seguito adibito ad area per la piccola cacciagione (la parola “barco” significa appunto “recinto per la caccia”). Sul lato Ovest fece inoltre edificare un nucleo di casali agricoli, comprensivi di stalle.

 Nel frattempo, il suo ospite abituale, Papa Gregorio, lo consigliò di edificare una nuova residenza, più spaziosa (la piccola villa non era evidentemente in grado di ospitare contemporaneamente la corte papale e quella cardinalizia) e soprattutto più visibile dalla città, in un luogo più emergente. Il Cardinale non poté fare altro che mettere mano al portafoglio, incaricando Martino Longhi il vecchio (il Vignola era morto) di progettare una villa più grandiosa, e più adatta al prestigio raggiunto dal Cardinale, e, naturalmente, all’illustre ospite. Nacque così, nel giro di pochi anni, Villa Mondragone (il nome prende spunto dal simbolo di famiglia dei Boncompagni, un drago), già terminata nel 1573.

 Non si può non dire che a Villa Mondragone fu emanata nel 1582 la Bolla Papale Inter gravissimas, di istituzione del calendario Gregoriano.

​Bene: passano gli anni, e, scomparsi tutti i protagonisti di questa prima fase, arriviamo al 1613, anno in cui il nipote del Cardinale vende tutta la proprietà (divenuta talmente estesa da assumere il nome di Status Tusculanus), al Cardinal Scipione Borghese, il più grande mecenate del seicento a Roma, (il famoso Cardinal nepote) che, per conto dello zio Papa Paolo V, ingrandì la proprietà, inserendovi anche l’adiacente Villa Taverna, e ingrandendo a dismisura la stessa Villa Mondragone, dando così luogo al cosiddetto Burghesianum, il più straordinario complesso di ville suburbane dell’intera Europa. Lo vedremo più avanti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Fig. 4 Stampa del Burghesianum (A.Kircher)        Fig. 5 Opus incertum nel muro di cinta                      Fig. 6 Opus quasi reticulatum

 

Fatta questa lunga premessa, torniamo a noi, e al muro di recinzione del Barco (camminando, si è giunti al primo angolo), che data, ricordiamolo, al 1575;  e qui vediamo una prima sorpresa: questo muro insiste su un altro muro, di tutt’altra fattura; riconosciamo la tecnica del cosiddetto opus incertum, che ci rimanda a molto tempo addietro, all’epoca repubblicana, e precisamente agli ultimi decenni del secondo II sec. a.C. Cosa significa tutto questo? Semplicemente che nel ‘500 non hanno fatto altro che recintare un’area già delimitata da un muro di contenimento antico, risalente ad un primo insediamento, forse una villa rustica. Questo offre una spiegazione alla spianata artificiale molto più tardi trasformata in Barco, che è evidentemente una cosiddetta basis villae, cioè la tipica piattaforma rialzata sul piano di campagna, su cui erano impostate le costruzioni residenziali.  Bisogna considerare infatti che le ville romane avevano uno sviluppo prevalentemente orizzontale, essendo formate da vari corpi di fabbrica generalmente ad uno, o al massimo due piani, anche distaccati, e magari distanti fra di loro, per cui era necessario creare un piano orizzontale molto ampio; essendo in questa zona collinare il terreno molto accidentato, ne risultavano dei grandiosi basamenti, addirittura monumentali, tali da poter essere notati anche da molto lontano, aumentando così la visibilità ed il prestigio del proprietario.

 Bisogna pensare che per tutto il I sec. a.C. e per tutto il seguente, le ville, in questa zona, erano talmente fitte che davano luogo, proprio perché conformate come si è detto, ad una sorta di “seconda natura”. Tutti i personaggi di rilievo dell’epoca avevano una villa da queste parti, e talvolta più di una. Cicerone, Pompeo, Lucullo, gli stessi Imperatori ... Erano residenze dedicate all’otium, che potremmo intendere come tempo libero dedicato alle attività intellettuali, ma erano spesso anche aziende agricole; molte erano sfarzose, sedi di collezioni di opere d’arte….

 Quindi possiamo dire che queste colline furono il teatro di un fenomeno insediativo sostanzialmente identico, anche se diverso nelle forme, per ben due volte, a distanza di circa millecinquecento anni. Abbiamo detto di quello tardo-rinascimentale; ora ci occuperemo di quello antico. Dunque, dicevamo che fino a quest’altezza, noi riconosciamo il muro antico, che non sappiamo quanto fosse alto in origine, mentre per il resto è muratura della fine del XVI sec.

 (si continua a camminare). Come si vede, il muro moderno era intonacato e rafforzato da contrafforti irregolari.

(Si continua a camminare fino al cambio della muratura) Da questo punto in poi, notiamo un cambiamento notevole nella fattura della muratura: si passa infatti dall’opus incertum all’opus quasi reticulatum, che viene datato in genere, diciamo, ad una cinquantina d’anni dopo; dovete prendere queste date come riferimenti di larga massima, ovviamente. L’importante è che si tratta di una tecnica che viene usata dopo la prima, il ché ci fa capire che dopo un po’ di tempo è intervenuto un secondo proprietario, che ha realizzato un ampliamento della prima costruzione, in continuità di livello con questa, raddoppiando l’area della basis villae. Andiamo a vedere come è fatta questa nuova tecnica muraria: intanto cambia l’elemento base; anche se il materiale è sempre lo stesso (selce vulcanica basaltica, detta leucitite), in luogo di pezzi sbozzati e arrotondati messi ad incastro variabile, si usa un solo tipo, chiamato cubilium, a base quadrata e conformato a cuneo, in maniera che possa essere ammorsato in profondità nel nucleo murario. Noi ora li usiamo come pavimentazione stradale; a Roma si chiamano Sampietrini. La tessitura, come vedete, assomiglia ad un reticolo posto in obliquo, ma essendo ancora alquanto irregolare, diciamo ondulato, viene chiamato quasi reticulatum.

 In questo tratto, la muratura moderna copre quella antica, che comunque si vede ancora all’interno.

(Si arriva al piazzale) Come potete vedere, qui le cose cambiano notevolmente, siamo evidentemente di fronte ad una nuova fase, in continuità con le prime due, ma totalmente diversa. Per capirlo meglio, dobbiamo affacciarci al terzo lato della basis villae.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

       

                          Fig. 7 Pianta del complesso Barco Borghese                                    Fig. 8 Opus reticulata      

 

 

 

 

 

 

 

 

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                                    Fig. 9 Facciata Monumentale all'altezza fondamenta (l'immenso edificio era in alto)

 

(di fronte al cartello) Noi siamo qui; abbiamo fatto questo giro dal punto di partenza, scendendo di livello: infatti vediamo il muro moderno che continua al di sopra delle strutture romane. Cosa è successo? Alcuni decenni dopo, è intervenuto un nuovo proprietario, evidentemente molto più ricco ed ambizioso (o comunque un nuovo programma edilizio), cui non bastava la superficie del terrapieno creato precedentemente, e lo volle ancora ampliare, ma questa volta non su terrapieno, ma su sostruzioni, cioè su una serie di ambienti voltati in calcestruzzo (delle fondazioni aeree, si potrebbe dire) con l’unico scopo di estendere il ripiano su cui doveva sorgere la villa (se effettivamente era una villa). È come se noi volessimo fare un solaio sostenuto da tanti pilastri. Lo vediamo qui disegnato in trasparenza. Ne risultò un enorme complesso, vasto più di un ettaro, articolato in quasi 200 ambienti (e non è detto che non ce siano anche altri), più vasto della stessa Domus Aurea (o meglio della parte a noi nota della Domus Aurea), certamente il più ampio che si conosca di questo genere: questa è la sua planimetria.

E noi ne visiteremo una parte significativa; alcuni di questi ambienti li vediamo anche da qui, poiché il muro che li chiudeva è crollato. Come  si vede, inoltre, il terreno più basso su questo lato permette di scoprire quella che doveva essere la facciata monumentale, rivolta verso Roma ed il mare, di cui possiamo vedere un’ evoluzione che comprende almeno due periodi: inizialmente, era organizzata con un atrio monumentale di tre ambienti con pilastri e semicolonne; a seguito di un crollo, probabilmente dovuto ad un terremoto, questa parte fu abbandonata, e le aperture chiuse con tamponature grezze; in alternativa, su questo lato fu abbassato il piano e costruito un nuovo fondale; una scala ed una rampa raggiungevano il piano su cui doveva sorgere la villa. Il fronte doveva essere davvero enorme e occupava tutto il terzo lato del basamento: pensate che quell’avancorpo era al centro, e dall’altra parte ce ne è altrettanto. Di là ci sono i casali edificati dall’Altemps ed ora recuperati come residenze private. Come si vede, la tecnica muraria è ancora diversa; l’opus quasi reticulatum si è regolarizzato ed è diventato opus reticulatum, utilizzando gli stessi cubilia.

Ma torniamo per un attimo al diciassettesimo secolo: questa stampa di Athanasius Kircher risale al 1672, ma riprende la situazione fissata da un’altra stampa di Matthias Greuter del 1620, quindi in piena epoca dei Borghese; si vede Villa Mondragone, Villa Vecchia (così fu chiamata la prima villa dopo la costruzione di Mondragone), Villa Taverna ed il Barco, con i casali su un lato, la fontana al centro e la sistemazione a frutteto: si intravedono anche le entrate ad alcune “Grotte”, non queste, che dovevano essere allora in gran parte interrate., come del resto le abbiamo trovate noi all’inizio dei lavori di recupero circa 20 anni fa.

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      Fig. 10 Di fronte ingresso monumetale                    Fig.11 Di fronte ingresso monumetale                   Fig. 11 Ingresso sostruzioni

 

Un ultimo particolare: come vedete, il muro moderno, che segue qui l’andamento dei crolli di allora, ha un’altezza uniforme di circa due metri sul piano superiore, che qui non si vede; in pratica, quando si entrava nel ripiano del Barco, non si poteva vedere al di là del muro, se non attraverso alcuni punti segnati da quelle finestre successivamente tamponate: una precisa volontà dell’architetto, cioè di selezionare solo alcune vedute significative, rinunciando ad un visione panoramica indifferenziata; solo alla fine del percorso, sopra quell’angolo, il muro si abbassava e si apriva la vista su Roma; un artificio di grande raffinatezza, ripreso, ai tempi nostri, da Le Corbusier.

Ma ora possiamo passare all’interno delle sostruzioni.

(tornati al piazzale) Incontriamo il primo di queste sale, che per metà è collassata. Questo lato fu utilizzato dagli Altemps, probabilmente come ambiente di lavoro o come ricovero per animali. Ce lo attestano quei finestroni. Questa era a livello più basso di quella accanto, e quindi probabilmente l’ultima, come sembra logico per ragioni statiche.

(Sulla passerella) Qui possiamo vedere le basi dei pilastri con semicolonne, che evidentemete era un motivo architettonico che continuava sulle facciate del basamento.   Questa buca è il residuo di una “calcara”, che ci attesta l’abbandono della struttura nel medioevo, quando una gran quantità di marmi (comprese statue) venivano cotti per ricavare la calce.

(All’ingresso) Prego, per ragioni sicurezza, dovreste indossare il casco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      

 

      Fig. 10 Ambiente interno a volta              Fig. 11 Realizzazzione volte con centine                  Fig. 12 Casseforma in legno

 

(Nel primo ambiente, inizia la visita interna) Ecco qui, questa è la prima sala che visitiamo e la sua descrizione vale per tutti gli altri ambienti che visiteremo. Intanto, ripetiamo che l’epoca della costruzione si può fissare intorno al 50-40 a.C.; tutto quello che vedete appartiene a quella data, nonostante che l’aspetto ci appaia insolitamente moderno; in effetti, se ci pensate bene, fino ad un secolo fa, fino alla diffusione della tecnica del cemento armato, si costruiva più o meno così, con murature e volte in calcestruzzo; tecnica che, tutto sommato, era stata inventata solo qualche decennio prima, e che qui vediamo applicata in quantità industriale.  Si procedeva così: si facevano delle casseforme in legno e vi si gettavano le pietre (tecnicamente, i caementa, da cui il termine moderno cemento) mescolati con la malta, composta da calce e pozzolana; si lasciava indurire e si procedeva per strati successivi; arrivati all’altezza delle volte, si procedeva armando delle centine con  assi di legno, e si gettava il calcestruzzo; poi si smontavano le armature in legno, di cui  si possono vedere chiaramente le tracce sia sui muri come sulle volte, così come sono visibili i fori in cui venivano incastrate le travi che sorreggevano le centine. Questo è l’opus caementicium, usato dai Romani in maniera stabile dalla seconda metà del secondo secolo a.C. come modo più veloce ed economico per costruire grandi strutture.  Tale tecnica è rimasta praticamente inalterata fino ad un secolo fa - ed ecco perché ci sembra così attuale - fino all’introduzione del cemento armato.

Dunque dicevamo che questi ambienti non servivano ad altro che a portare il livello della villa dalla quota di campagna a + dieci m., all’incirca. Alla nostra mentalità moderna utilitaristica, questo può sembrare un assurdo, ma i Romani non ragionavano come noi. Tutti questi ambienti, una volta terminati, non venivano più utilizzati, e probabilmente erano anche riempiti di terra; è per questo che le murature erano lasciate grezze, senza alcun paramento, perché qui dentro non entrava più nessuno, una volta uscito l’ultimo operaio da passaggi coperti “a cappuccina” come quello, successivamente murato.  Vi chiederete allora perché noi possiamo passare tranquillamente da un ambiente all’altro: il fatto è che i Gesuiti, che avevano comprato la Villa Mondragone alla fine del secolo diciannovesimo, per farne il celebre “Nobile Collegio di Mondragone”, avevano affittato le “Grotte”, come le chiamavano allora, ad una fungaia; gli ambienti, infatti, erano particolarmente adatti per la coltivazione dei funghi, ma c’era un problema: bisognava metterli in comunicazione gli uni con gli altri. Niente paura! A furia di picconate, e nell’ultimo periodo, persino di ruspe, questi “fungaroli” hanno letteralmente sfondato le murature antiche, facendo danni notevoli e provocando numerosi crolli. Paradossalmente, dobbiamo però ringraziare proprio loro se adesso possiamo passare da un ambiente all’altro e visitare l’intero complesso. Qualcuno chiederà: ma come, questi signori hanno potuto manomettere così pesantemente un monumento come questo senza alcun controllo da parte delle Autorità? Purtroppo è proprio così; dovete pensare che questo complesso, a causa della trasformazione in fungaia, è totalmente scomparsa dalla memoria sia della gente del posto, sia degli studiosi e delle Soprintendenze, almeno fino agli anni ’80 del secolo scorso, quando i Gesuiti vendettero la proprietà e la fungaia fu sfrattata. In verità, anche se qualcuno vi fosse entrato (e non era assolutamente facile!) non avrebbe visto nulla delle strutture antiche, poiché, per ragioni legate all’efficienza della coltivazione, tutti questi ambienti erano completamente avvolti in teli di cellophane.

Certo, questa è una storia strana, perché in realtà il complesso era ben noto, anche se non nella sua totale estensione, grazie all’opera di esimi studiosi che lo visitarono a cavallo del Novecento, fra cui Thomas Ashby, che ne fece un primo rilievo: pensate a questo pover’uomo che doveva strisciare al buio per passare da un ambiente all’altro, magari smurando qualche piccola apertura tamponata.  L’indifferenza dei Gesuiti verso la tutela del loro bene fa ancora più impressione per il fatto che fra questi studiosi c’era proprio un Gesuita, Grossi Gondi, che viveva a Mondragone!   Dunque, abbiamo detto che questi ambienti non avevano altra funzione che quella di sostenere il piano superiore; ma ci sono state delle eccezioni, nella lunga vita di questo sito; pensate che esso ha avuto una vita di circa quattro secoli, per cui quanti proprietari si sono avvicendati nel tempo, quante nuove esigenze di cambiamento sono intervenute! Una di queste eccezioni la vedremo subito, entrando nel prossimo ambiente; infatti, circa 70-80 anni dopo la costruzione originaria, si pensò di trasformare nove ambienti adiacenti in cisterne; per fare questo era necessario introdurre notevoli modifiche: intanto, foderare le murature originarie con altra muratura con paramento in laterizi (si vede dallo spessore di questo muro, che in realtà sono due muri accostati; poi, ricoprire le superfici di intonaco impermeabilizzante, formato da una malta chiamata ”coccio pesto”, proprio perché formato da frantumi di laterizi; poi compartimentale l’ambiente in tre, con due nuovi setti murari, con piccole aperture al centro; questo per spezzare il moto dell’acqua; quindi, pavimentare l’ambiente; in genere, il pavimento era realizzato anch’esso in coccio pesto, ma in questo caso hanno scelto un pavimento con piccoli listelli laterizi posati a “spina di pesce” (opus spicatum), che a noi sembra un lavoro particolarmente raffinato (chissà quanto costerebbe oggi!), ma per loro era un tipo di pavimento povero, spesso usato per le stanze della schiavitù. Il ché non toglie che sia di un’ottima fattura, tanto da trattenere ancora l’acqua dopo duemila anni, almeno per un po’. Infine, c’è un elemento tipico delle cisterne, il cordolo perimetrale in coccio pesto, che evitava gli angoli fra i piani verticali e orizzontali, per far scorrere meglio l’acqua e non accumulare sporcizia. Tenete presente che queste pareti erano tutte foderati di laterizi, come si può vedere in alcune parti residue, laterizi che hanno fatto molto comodo agli Altemps o ai Borghese per edificare le loro ville.

(nel secondo ambiente) E qui possiamo vedere, alla vostra destra, un così detto “butto”, cioè una discarica, probabilmente dei Gesuiti, che fuoriesce dall’unico setto murario rimasto in piedi (proprio perché faceva comodo per essre usato in questa maniera); vedete anche la piccola apertura, com dovevano essere tutte le altre. Non è stato ancora svuotato, anche per lasciare una dimostrazione evidente di cosa era un butto; qui vediamo pezzi di materiale d’uso molto recenti, a dimostrazione che questo butto è stato usato fino a non molto tempo fa; ma non è escluso che, scavando all’interno non possano uscir fuori materiali più antichi e più interessanti. Al Museo della Città di Monte Porzio c’è un settore dedicato al “butto” principale del paese, che ha offerto esempi davvero interessanti della cultura materiale della Comunità fin dal Seicento.

Alla vostra sinistra, potete farvi un’idea dall’ampiezza di questo complesso: quasta è la galleria centrale, che è lunga quasi duecento metri, e non si interrompe là dove vedete la luce, ma continua oltre.

(uscendo dalle cisterne) Qui torniamo agli ambienti originari, non interessati dalle trasformazioni che abbiamo visto.

(dopo due ambienti) Come vedete, in molti casi, come questo, è stato necessario realizzare dei rinforzi ai passaggi che la fungaia aveva aperto. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

            Fig. 13 Percorso Cisterne                 Fig. 14 Cisterna          Fig. 15 Gall.princip. da cisterna                  Fig. 16 Butto

 

(Nella galleria, davanti al primo cartello) Ora siamo entrati nella seconda galleria, quella più vicina alla facciata, che è proprio alla nostra sinistra, parallela a quella centrale che avete visto prima.  Il complesso può sembrare un vero labirinto, ma come avete visto dalla stessa pianta, in realtà segue uno schema molto semplice, con due gallerie in senso orizzontale e quattro serie di ambienti trasversali a queste. In questo crtello voi vedete un riassunto delle tecniche edilizie che abbiamo imparato a riconoscere, l’opus incertum, il quasi reticulatum, il reticulatum, etc.

(davanti al secondo cartello) Ed ora ci troviamo di fronte ad una novità; questa parete è molto diversa dalle altre, perché ha un paramento a fasce alterne di opera reticolata e di opera laterizia. Per quale motivo? Intanto perché è stata realizzata almeno un secolo dopo rispetto a quella originaria, diciamo in epoca Flavia, epoca in cui la tecnica muraria si era notevolmente evoluta, e sarebbe stato inconcepibile lasciare le murature allo stato grezzo; si era compreso infatti che gli stessi paramenti contribuivano alla solidità delle murature, le “impacchettavano”, per così dire, rendendole più resistenti. Questo tipo di tecnica, a fasce alternate, si chiama opus mixtum: a noi sembra molto bella, ma non era l’effetto estetico che cercavano i costruttori, bensì quello statico, perché le forze venivano alternativamente scaricate in più direzioni, in senso obliquo ed in senso verticale, scomponendosi continuamente e perdendo efficacia.

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                              Fig. 17 Galleria laterale                    Fig. 18 Puntellam. in opus mixtum     Fig. 19 Apertura a cappucina nei puntellamenti

 

Ma per quale motivo troviamo qui questa muratura?  Ebbene, evidentemente deve esserci stato un problema, qualche crollo forse dovuto ad un terremoto; un’intero settore deve essere crollato, e pertanto il proprietario di allora prese dei provvedimenti, realizzando una serie di setti murari come questo intorno alla zona del crollo, cercando, per così dire, di “incatenarla”, in maniera che il suo peso non si propagasse, con un effetto a catena, negli ambienti vicini. Lo vedete qui, questa è la zona crollata, alla nostra sinistra, e queste, intorno, sono le gallerie interessate da questi setti murari, che altro non erano che rinforzi strutturali, che diedero luogo ad ambienti piccoli, ma molto suggestivi.

Ora continueremo la visita percorrendo questa stessa galleria così modificata; se qualcuno soffre di claustrofobia, lo può dire, naturalmente, ma comunque, gli ambienti non sono così piccoli ...

(continuando) Qui siamo fortunati perché la fungaia non ha potuto sfruttare questi ambienti perché toppo piccoli, quindi i muri sono quasi intatti, salvo le ruberie di laterizi o di cubilia operati dai Borghese, le cui scale però non arrivavano, per fortuna, molto in alto. Abbiamo anche le aperture originarie con questa forma così detta “a cappuccina”, perché ricorda il cappuccio dei frati. In realtà notiamo anche una variante; come vedete, questo muro è quasi completamente rivestito in opera reticolata e l’apertura è con architrave; così anche un altro muro più avanti; non sappiamo il motivo di questa variante.

Qui a sinistra abbiamo un’ulteriore variante, davvero eccezionale: questa parete è stata foderata interamente con tegole, dalla parte del maggiore spessore, la cosiddetta ala; così si risparmiava materiale; questo è un esempio di tecnica davvero unica, e per nostra fortuna, né i fungaroli, né gli Altemps, né i Borghese sono riusciti a danneggiarla!

(in fondo) Qui sobbiamo voltare a sinistra, perché continuiamo ad aggirare la zona collassata; in realtà la galleria non finiva qui ma continuava per molto, ma ora non c’è più perché, sopra il suo crollo è stata costruita, ad un livello più alto, un’altra galleria a volta, che ospitava la scuderia degli Altemps, e, al primo piano un casale di abitazione, che segue la forma della galleria originaria, quindi molto lungo e stretto.

(girando a sinistra) Attenzione ai due gradini!

Qui i rinforzi strutturali si fanno più articolati ed irregolari.

(circa a metà, sulla destra) Una curiosità significativa: avete già potuto apprezzare la perfezione della tecnica muraria; non cè da stupirsi, se pensiamo che questi paramenti risalgono all’epoca in cui la tecnica muraria, e in generale l’arte del costruire, ha raggiunto l’apice della perfezione nella storia delle civiltà.  Qui ne abbiamo una testimonianza: vedete questi laterizi e questo segno in mezzo, che si chiama “stilatura”? bene, così è esattamente come andava fatta il lavoro, ed il muratore, così l’ha fatto, anche qui sotto non ci veniva nessuno e nessuno avrebbe potuto apprezzare la perfezione del suo lavoro, semplicemente perché così andava fatto…

(uscendo) Attenzione alla testa, qui è più basso!

(Nella galleria) Eccoci nella galleria centrale, quella che che avevamo visto dalla passerella, che è laggiù in fondo.  Anche qui c’era stato un crollo, come vedete, ma il ripristino è stato risolto in maniera differente: invece di costruire una serie di setti murari trasversali, si è pensato di restringere la larghezza della galleria stessa, costruendo due nuovi muri in aderenza a quelli originari e restringendo la volta; la fattura dei muri è sempre la stessa, in opera mista, quindi possiamo supporre che i due eraturi statici siano coevi. In seguito, il muro di destra è a sua volta crollato, e per giunta, sembra che una bomba sia caduta proprio qui nell’ultima guerra. Fatto sta che, quando siamo intervenuti per il recupero, nel 1999, qui c’era una montagna di terra e detriti, che interrompeva la comunicazione fra i due settori del complesso. Abbiamo dovuto sgombrare tutto, ricostruire parte del muro e della volta crollata. Nel 2019 gli Amici dei Musei di Monte Porzio Catone hanno ancora ripulito il percorso, ma questa volta dai rovi che si erano formati nel tempo, riaprendo nuovamente il passaggio.

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                                                       Fig. 20 Galleria principale                    Fig. 21 Galleria ristretta di rinforzo   

 

(Percorriamo la galleria ristretta) Al termine del restringimento della galleria entriamo nell’ultimo settore, il cui ambiente terminale fu anche l’unico abitato. Da chi? Da operai, schiavi, che lavoravano in una “Ratio marmoraria”, cioè in un magazzino dove veniva lavorato del materiale connesso con il marmo: questa è davvero una testimonianza eccezionale, che ci offre un insospettabile scorcio di vita in questo mondo sotterraneo; vedete, questi operai ebbero la bella idea di usare questa parete intonacata come un diario di lavoro, annotando le quantità di materiale che veniva prodotto, o forse solo immagazzinato, o che comunque transitava, per questa stanza, giorno per giorno; o almeno per questi due giorni consecutivi: Quintas nonas Iulias marmoris  modios CCCCXXV, cioè il giorno 3 luglio quattrocentoventicinque moggi; il giorno dopo, IV nonas iulias marmoris modios CCCCXXV, cioè il  4 Luglio, la stessa quantità: dunque, un diario, o meglio un libretto delle misure; e chi lo scriveva? Ecco qui; Amarantus, uno schiavo di evidente origine greca, e Ingenuus (la doppia i sta per “e”) uno di origine latina; scritte a carboncino, forse dalle stesse parsone, mentre “Ratio Marmoraria” è scritto per bene, a pennello, come fosse un’insegna, o un titolo del libretto. Intereressante il fatto che le quantità erano espresse in “modii”, equivalente all’italiano “moggi” che è una misura del grano, cioè di un matriale arido, non certo adatto per il marmo; si trattava dunque di polvere di marmo, un materiale con il quale si facevano gli intonaci, quelli più pregiati, forse per la stessa villa che era sopra. Purtroppo, il resto della scritta è andato perduto quando sono stati strappati i teli di cellophane della fungaia: ma le scritte sono tante, qui c’è un “septembres”, con altre date, sulla volta gli epigrafisti hanno individuato anche un “valeat Actius”, dedicato ad un famoso atleta, che ci riporta all’epoca di queste scritte, il I sec. d.C., una sorta di “forza Totti” del tifo dell’epoca....

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                               Fig 22 Scritte murarie Ratio Marmoraria                        Fig 23 Scritte murarie Ratio Marmoraria

 

La stanza accanto era l’ufficio, o forse la stessa abitazione di queste persone; infatti è l’unica con il pavimento (in opus scutulatum), un minimo di arredi in legno (scaffali di cui si vedono le tracce) e qualche traccia di decorazione geometrica delle pareti. Inoltre, questo ambiente era dotato di una vera uscita, poi murata, e una apertura sovraporta, quindi certamente al di là ci doveva essere una facciata: un’indicazione utile per i prossimi scavi ...   

Da qui ritorniamo indietro, ripercorriamo la galleria che subì il restringimento e imbocchiamo nuovamente la galleria principale.

 (Nel secondo ambiente a sinistra) Vi ricordate che abbiamo parlato della seconda villa, quella in opera quasi reticolata? Eccola qui: arrivava fino a qui, e questo era un muro terminale, sopra il quale il proprietario successivo ha costruito la nuova struttura in opera cementizia; qui si vede bene la sovrapposizione, e quindi la successione temporale fra i due insediamenti.

(di nuovo nella galleria, tornando indietro) Vi avevamo parlato dei danni prodotti dalla fungaia: ecco, vedete, alla nostra destra, c’è il vuoto provocato dal crollo di ben cinque sale; questo spazio era completamente pieno di terra quando siamo intervenuti, fino al livello del Barco, ed è stato completamente svuotato. Nelle nostre intenzioni, dovrebbe costituire lo spazio centrale di un Museo delle Tecniche Edilizie Romane, che incredibilmente, a Roma, e in Italia, non c’è. Crediamo che questo sia il luogo adatto per realizzarlo, perché qui si può visionare direttamente una gran quantità di esempi di tecnica muraria, come avete potuto constatare.

(continuando) Ecco, qui siamo a quella che chiamiamo la quota zero, cioè il livello originale, che mancava ovviamente di pavimento; quella riga bianca che vedete lassù era il livello della terra quando siamo entrati venti anni fa.

(All’incrocio) Siamo tornati alla zona delle “cisterne”, come vedete dal pavimento in opus spicatum. Qui, vi posso presentare di persona qualcuno dei “fungaroli”. Vedete in alto, le loro firme, e la date: il fatto che le abbiano potute scrivere così in alto, significa che il livello del terreno, allora, era molto più  alto; questo si spiega anche con la dinamica stessa del loro lavoro, che comportava una crescita del livello del terreno ad ogni lavorazione, Poi, evidentemente, quando il livello era troppo alto, svuotavano il terreno e iniziavano un nuovo ciclo.

Qui abbiamo un’altra stranezza; quello che doveva essre il muro di fondo delle cisterne non c’è più, è crollato oppure non è mai stato costruito: stesso discorso per quest’altra traccia di muro e per questo, che doveva essere un contrafforte con il compito di reggere la spinta dell’acqua. Questo particolare, ed altri, come il fatto di non aver ancora trovato il foro di immissione dell’acqua, ci fa dubitare che le cisterne abbiano mai funzionato effettivamente; forse facevano parte di un progetto non più realizzato, o forse non erano cisterne. In realtà non lo sappiamo.

(Più avanti) Qui, in verità, il pavimento in forte pendenza, è un elemento a favore dell’ipotesi che queste dovessero essere cisterne.

(più avanti) Siamo arrivati all’ultima serie di ambienti trasversali e a quello che è il muro di fondo delle sostruzioni, oltre il quale cè il terrapieno; ai costruttori si poneva il problema di reggere la spinta del terrapieno, un problema non da poco; lo risolsero prolungando i muri laterali e la volta per qualche metro verso l’interno, in modo da ammorsare la struttura in profondità. In seguito, il progredire della scienza delle costruzioni avrebbe trovato anche altri sistemi più raffinati, come le pareti curve in grado di produrre una controspinta; pensate alle dighe, per esempio.

Qui la visita termina e siamo nuovamente fuori, all’aperto". 

Arch. Piero Giusberti e Ing. Mario Ciraci  "Amici dei Musei di Monte Porzio Catone"

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Visita guidata 1
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